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LEGGETE BENE L'ARTICOLO E FIRMATE!!!
martedì 25 agosto 2009
SOSTENIAMO PINO MASCIARI E FAMIGLIA!!!
http://firmiamo.it/scortaperpinomasciari
DESCRIZIONE PRESA DAGLI AMICI DEL BLOG DI PINO MASCIARI.Giuseppe Masciari è un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959, sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, insieme a sua moglie (medico odontoiatra) e ai loro due bambini.Pino ha denunciato la ‘ndrangheta e le sue collusioni con il mondo della politica.La criminalità organizzata ha distrutto le sue imprese di costruzioni edili, bloccandone le attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operava. Tutto ciò dal giorno in cui ha detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.Il sei per cento ai politici e il tre per cento ai mafiosi, ma anche angherie, assunzioni pilotate, forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso, regali di appartamenti, e acquisto di autovetture: questo fu il prezzo che si rifiutò di pagare.Fu allontanato dalla sua terra per l’imminente pericolo di vita a cui si è trovato esposto lui e la sua famiglia.CronostoriaDa quando operava nella sua attività con le sue aziende, Pino Masciari non si arrese mai ai soprusi della ‘ndrangheta, si ribella, riferisce all’Autorità Giudiziaria e denuncia, fino al punto di decidere la chiusura delle sue imprese licenziando nel settembre 1994 gli ultimi 58 operai rimasti.Ingresso nel Programma Speciale di ProtezioneIl 18 Ottobre 1997 Pino, Marisa e i due figli appena nati entrano nel programma speciale di protezione e scompaiono dalla notte al giorno: niente più famiglia, lavoro, affetti, niente più Calabria. Pino testimonia nei principali processi contro la ‘ndrangheta e il sistema di collusione, quale parte offesa e costituito parte civile. Diventa “il principale testimone di giustizia italiano”, così lo definisce il procuratore generale Pier Luigi Vigna. Inizia il CALVARIO: accompagnamenti con veicoli non blindati, con la targa della località protetta, fatto sedere in mezzo ai numerosi imputati denunciati, intimidito, lasciato senza scorta in diverse occasioni relative ai processi in Calabria, registrato negli alberghi con suo vero nome e cognome, senza documenti di copertura. Troppi episodi svelano le falle del sistema di protezione che dovrebbe garantire sicurezza per lui e la famiglia.Lo Stato istituisce la figura del testimone di giustizia2001. Con la legge 45/2001 si istituisce la figura del testimone di giustizia, cittadino esemplare che sente il senso civico di testimoniare quale servizio allo Stato e alla Società.Il 28 Luglio 2004, la Commissione Centrale del Ministero degli Interni gli notifica “che sussistono gravi ed attuali profili di rischio, che non consentono di poter autorizzare il ritorno del Masciari e del suo nucleo familiare nella località di origine; Ritenuto che il rientro non autorizzato nella località di origine potrebbe configurare violazione suscettibile di revoca del programma speciale di protezione”.Revoca del programma speciale di protezioneIl 27 Ottobre 2004, tre mesi dopo, la stessa Commissione Centrale del Ministero degli Interni gli notifica il temine del programma speciale di protezione. Tra le motivazioni si indica che i processi erano terminati. Cosa non vera: i processi erano in corso e la D.D.A. di Catanzaro emetteva in data , 6 febbraio 2006 successiva alla delibera, attestato che i processi era in corso di trattazione.Ricorso contro la revoca19 Gennaio 2005, Pino fa ricorso al TAR del Lazio contro la revoca, azione che gli permette di rimaneresotto programma di protezione in attesa di sentenza.Il programma cessa in ogni caso1 Febbraio 2005, senza tenere conto del ricorso già in atto, la Commissione Centrale del Ministero dell’Interno delibera ancora una volta di “ invitare il testimone di giustizia Masciari Giuseppe ad esprimere la formale accettazione della precedente delibera ricordando che alla mancata accettazione da parte del Masciari, seguirà comunque la cessazione del programma speciale di protezione”.Non può testimoniare ai processiIl 19 Maggio 2006, il legale di Masciari invia una nota alle Autorità competenti per segnalare che i Tribunali erano stati notiziati della fuoriuscita del Masciari dal programma di protezione per cui lo stesso non risultava essere più soggetto a scorta per accompagnamento nelle sedi di Giustizia. Pino Masciari si è recato ugualmente nei processi con senso di DOVERE, accompagnato dalla società civile.Sentenza del TAR: diritto alla sicurezzaGennaio 2009, dopo 50 mesi a fronte dei 6 mesi stabiliti dalla legge 45/2001 art.10 comma 2 sexies-, il TAR del Lazio pronuncia la sentenza riguardo il ricorso e stabilisce l’inalienabilità del diritto alla sicurezza, l’impossibilità di sistemi di protezione o programmi a scadenza temporale predeterminata e ordina al Ministero di attuare le delibere su sicurezza, reinserimento sociale, lavorativo, risarcimento dei danni. Pino Masciari per tramite del suo legale fa richiesta formale dell’ottemperanza della sentenza.Sciopero della fame e della seteAprile 2009 Non avendo ricevuto nessuna risposta dalla Commissione Centrale del Ministero dell’Interno, Pino annuncia la volontà di cominciare il 7 aprile lo sciopero della fame e della sete, fintanto che non vedrà rispettati i diritti della sua famiglia ancor prima che i propri. Lo sciopero della fame è l’ultima risorsa, noi la supportiamo vista l’urgente necessità di tornare a vivere. Grazie a pino Masciari abbiamo imparato ad amare lo STATO. Dodici anni di sofferenza e esilio sono un prezzo altissimo che i Masciari hanno pagato con dignità, senza mai rinnegare la scelta fatta. E’ ora che questo STATO riconosca loro quanto dovuto. Noi, Società Civile, non possiamo accettare questa scelta senza lottare fino all’ultimo istante al fine di evitare l’ ennesimo estremo sacrificio della famiglia Masciari. Basta una firma, e la volontà di apporla. Per i cittadini, lo STATO e la Costituzione. Per la Famiglia Masciari.DocumentiDi seguito alcuni documenti fondamentali per comprendere la situazione di Pino Masciari e di chi, come lui, ha intrapreso la strada della denuncia leggili qui» Commissione Parlamentare Antimafia – Resoconto Stenografico della seduta n.69 del 14 giugno 2005;Commissione Parlamentare Antimafia – Relazione finale di minoranza XIV LEGISLATURA del 16 gennaio 2006;Commissione Parlamentare Antimafia – 19 febbraio 2008 – ultima relazione della sui Testimoni di Giustizia relatrice On. Angela Napoli;
DESCRIZIONE PRESA DAGLI AMICI DEL BLOG DI PINO MASCIARI.Giuseppe Masciari è un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959, sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, insieme a sua moglie (medico odontoiatra) e ai loro due bambini.Pino ha denunciato la ‘ndrangheta e le sue collusioni con il mondo della politica.La criminalità organizzata ha distrutto le sue imprese di costruzioni edili, bloccandone le attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operava. Tutto ciò dal giorno in cui ha detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.Il sei per cento ai politici e il tre per cento ai mafiosi, ma anche angherie, assunzioni pilotate, forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso, regali di appartamenti, e acquisto di autovetture: questo fu il prezzo che si rifiutò di pagare.Fu allontanato dalla sua terra per l’imminente pericolo di vita a cui si è trovato esposto lui e la sua famiglia.CronostoriaDa quando operava nella sua attività con le sue aziende, Pino Masciari non si arrese mai ai soprusi della ‘ndrangheta, si ribella, riferisce all’Autorità Giudiziaria e denuncia, fino al punto di decidere la chiusura delle sue imprese licenziando nel settembre 1994 gli ultimi 58 operai rimasti.Ingresso nel Programma Speciale di ProtezioneIl 18 Ottobre 1997 Pino, Marisa e i due figli appena nati entrano nel programma speciale di protezione e scompaiono dalla notte al giorno: niente più famiglia, lavoro, affetti, niente più Calabria. Pino testimonia nei principali processi contro la ‘ndrangheta e il sistema di collusione, quale parte offesa e costituito parte civile. Diventa “il principale testimone di giustizia italiano”, così lo definisce il procuratore generale Pier Luigi Vigna. Inizia il CALVARIO: accompagnamenti con veicoli non blindati, con la targa della località protetta, fatto sedere in mezzo ai numerosi imputati denunciati, intimidito, lasciato senza scorta in diverse occasioni relative ai processi in Calabria, registrato negli alberghi con suo vero nome e cognome, senza documenti di copertura. Troppi episodi svelano le falle del sistema di protezione che dovrebbe garantire sicurezza per lui e la famiglia.Lo Stato istituisce la figura del testimone di giustizia2001. Con la legge 45/2001 si istituisce la figura del testimone di giustizia, cittadino esemplare che sente il senso civico di testimoniare quale servizio allo Stato e alla Società.Il 28 Luglio 2004, la Commissione Centrale del Ministero degli Interni gli notifica “che sussistono gravi ed attuali profili di rischio, che non consentono di poter autorizzare il ritorno del Masciari e del suo nucleo familiare nella località di origine; Ritenuto che il rientro non autorizzato nella località di origine potrebbe configurare violazione suscettibile di revoca del programma speciale di protezione”.Revoca del programma speciale di protezioneIl 27 Ottobre 2004, tre mesi dopo, la stessa Commissione Centrale del Ministero degli Interni gli notifica il temine del programma speciale di protezione. Tra le motivazioni si indica che i processi erano terminati. Cosa non vera: i processi erano in corso e la D.D.A. di Catanzaro emetteva in data , 6 febbraio 2006 successiva alla delibera, attestato che i processi era in corso di trattazione.Ricorso contro la revoca19 Gennaio 2005, Pino fa ricorso al TAR del Lazio contro la revoca, azione che gli permette di rimaneresotto programma di protezione in attesa di sentenza.Il programma cessa in ogni caso1 Febbraio 2005, senza tenere conto del ricorso già in atto, la Commissione Centrale del Ministero dell’Interno delibera ancora una volta di “ invitare il testimone di giustizia Masciari Giuseppe ad esprimere la formale accettazione della precedente delibera ricordando che alla mancata accettazione da parte del Masciari, seguirà comunque la cessazione del programma speciale di protezione”.Non può testimoniare ai processiIl 19 Maggio 2006, il legale di Masciari invia una nota alle Autorità competenti per segnalare che i Tribunali erano stati notiziati della fuoriuscita del Masciari dal programma di protezione per cui lo stesso non risultava essere più soggetto a scorta per accompagnamento nelle sedi di Giustizia. Pino Masciari si è recato ugualmente nei processi con senso di DOVERE, accompagnato dalla società civile.Sentenza del TAR: diritto alla sicurezzaGennaio 2009, dopo 50 mesi a fronte dei 6 mesi stabiliti dalla legge 45/2001 art.10 comma 2 sexies-, il TAR del Lazio pronuncia la sentenza riguardo il ricorso e stabilisce l’inalienabilità del diritto alla sicurezza, l’impossibilità di sistemi di protezione o programmi a scadenza temporale predeterminata e ordina al Ministero di attuare le delibere su sicurezza, reinserimento sociale, lavorativo, risarcimento dei danni. Pino Masciari per tramite del suo legale fa richiesta formale dell’ottemperanza della sentenza.Sciopero della fame e della seteAprile 2009 Non avendo ricevuto nessuna risposta dalla Commissione Centrale del Ministero dell’Interno, Pino annuncia la volontà di cominciare il 7 aprile lo sciopero della fame e della sete, fintanto che non vedrà rispettati i diritti della sua famiglia ancor prima che i propri. Lo sciopero della fame è l’ultima risorsa, noi la supportiamo vista l’urgente necessità di tornare a vivere. Grazie a pino Masciari abbiamo imparato ad amare lo STATO. Dodici anni di sofferenza e esilio sono un prezzo altissimo che i Masciari hanno pagato con dignità, senza mai rinnegare la scelta fatta. E’ ora che questo STATO riconosca loro quanto dovuto. Noi, Società Civile, non possiamo accettare questa scelta senza lottare fino all’ultimo istante al fine di evitare l’ ennesimo estremo sacrificio della famiglia Masciari. Basta una firma, e la volontà di apporla. Per i cittadini, lo STATO e la Costituzione. Per la Famiglia Masciari.DocumentiDi seguito alcuni documenti fondamentali per comprendere la situazione di Pino Masciari e di chi, come lui, ha intrapreso la strada della denuncia leggili qui» Commissione Parlamentare Antimafia – Resoconto Stenografico della seduta n.69 del 14 giugno 2005;Commissione Parlamentare Antimafia – Relazione finale di minoranza XIV LEGISLATURA del 16 gennaio 2006;Commissione Parlamentare Antimafia – 19 febbraio 2008 – ultima relazione della sui Testimoni di Giustizia relatrice On. Angela Napoli;
sabato 8 agosto 2009
LAVORATORI A RISCHIO BY ANSA
http://www.corriere.it/economia/09_agosto_08/cgia_mestre_posti_lavoro_autunno_disoccupazione_b882e7b2-83fd-11de-bc84-00144f02aabc.shtml
http://www.antimafiaduemila.com/conten
t/view/18562/
Sonia Alfano: 'omicidio Scopelliti ancora senza verita' ' |
8 agosto 2009 Piena verità sui mandanti, sugli esecutori, sulle condizioni in cui maturò la sua uccisione, ma anche piena verità sulla trama di collusioni e di coperture anche istituzionali che lo resero possibile. E' venuto il momento che chi sa parli e che emergano tutte le responsabilità". Lo afferma il deputato europeo dell'Idv e presidente dell'Associazione nazionale familiari vittime di mafia, Sonia Alfano. Scopelliti, sostituto procuratore generale presso la Cassazione, venne assassinato il 9 agosto 1991 mentre si trovava in vacanza in Calabria, sua terra d'origine. Il magistrato venne ucciso mentre si trovava in auto. Due sicari lo affiancarono e gli spararono colpi di arma da fuoco. Quando venne assassinato, Scopelliti stava preparando, in sede di legittimità, il rigetto dei ricorsi per Cassazione avanzati dai boss mafiosi che erano stati condannati nel primo maxi processo a Cosa nostra. ANSA |
http://firmiamo.it/fuorilagendarossadipaoloborsellino
FIRMIAMO.IT è solo una piattaforma che ospita petizioni. Non c'è alcuna approvazione di questa petizione, espressa o implicita, da parte di FIRMIAMO.IT o dei nostri sponsor.
Felice Cavallaro, inviato de “Il Corriere della sera”, ha incontrato e conosciuto il giudice Paolo Borsellino. A diciassette anni di distanza, ricorda il magistrato ucciso dalla mafia in via D’Amelio, e soprattutto ne restituisce l’immagine di un uomo che cercava solo di fare al meglio il proprio lavoro. Ecco il racconto dalla sua viva voce di cronista.
La polemica di Sciascia
“Ricordo che fu Rocco Chinnici, che già conoscevo, a presentarmi Paolo Borsellino. L’occasione fu l’istituzione del pool antimafia nel quale Chinnici inserì, oltre a Borsellino, anche Giovanni Falcone. Scelta che fu dettata dalla esperienza che i due magistrati avevano acquisito durante il loro lavoro e impegno. Da allora nacque una reciproca stima, certamente da pare mia e credo che fosse anche ricambiata dallo stesso Borsellino. Se devo raccontare un episodio che lo riguarda, mi viene in mente senza dubbio il vespaio di polemiche sorto all’indomani di un articolo di Leonardo Sciascia pubblicato il 10 gennaio 1987 sul Corriere, sul tema dei professionisti dell’antimafia. Un fatto su cui ci confrontammo a lungo. Ritengo che quel pezzo di Sciascia fosse indovinato, ma con un esempio sbagliato. In realtà, nemmeno Borsellino e Falcone ebbero mai degli screzi e delle incomprensioni con Sciascia, perché non potevano pensare che proprio lo scrittore siciliano dal quale avevano attinto e appreso il concetto e il valore dell’antimafia, potesse poi stare dall’altra parte. Borsellino e Sciascia ebbero poi modo di incontrarsi e chiarirsi a Marsala, a pranzo in un ristorante. Incontro a cui però non venne dato risalto. Due anni dopo la morte di Sciascia, nel luglio del ‘91 invitai Borsellino a Recalmuto, paese d’origine di Sciascia e mio, per parlare delle questioni più dibattute di quel momento e ovviamente anche delle polemiche seguite all’articolo in questione. Borsellino si presentò pomeriggio in una piazza gremita, in compagnia di Falcone e assieme spiegarono che con Sciascia non ci fu mai uno screzio, una incomprensione e che si erano chiariti in quell’incontro a Marsala. Quell’episodio rafforzò in me l’idea che Sciascia aveva sbagliato esempi, con dei giudici così grandi, ma la questione rimaneva reale e concreta”.
Falcone sotto tiro
“Ricordo quando Falcone venne ostacolato nella corsa come consigliere istruttore. Incarico affidato invece a Meli. Senza dimenticare poi l’accusa rivolta sempre allo stesso Falcone di tenere i segreti nei cassetti e non valicare la politica. In una trasmissione del Gr1, ‘Radio anch’io’, Borsellino spiegò l’equivoco dei segreti tenuti nei cassetti, dicendo che i magistrati perseguono reati sulla base di prove e non invece l’immoralità e la scorrettezza politica. Perché sono questioni che attengono invece alla società civile”.
Borsellino e i giornalisti
”Con i giornalisti c’era la massima correttezza reciproca – racconta ancora Felice Cavallaro –, era disponibile alla comprensione. Borsellino aveva però riserbo per i passaggi essenziali di una inchiesta, preoccupandosi della fuga di notizie. Alla fine si era creato un rapporto molto schietto e leale tra giudici e cronisti. Tra alcuni nacque una vera e propria amicizia, come tra il giornalista La Licata e il giudice Falcone, tanto che insieme scrissero un libro”.
Via D’Amelio
“Il giorno di via D’Amelio fu terribile – continua Cavallaro con la voce che diventa grave e pensosa -. Ricordo che in quei giorni stavo lavorando a un nuovo libro con il giudice Ayala che si doveva occupare dell’introduzione. Quella domenica pomeriggio doveva venire a casa mia. A un certo punto da casa mia in centro a Palermo, sentii un boato. Andai in terrazza e mi accorsi di una nuvola densa di fumo nero, dalle parti della Fiera del Mediaterraneo. A quel tempo Ayala abitava lì vicino. Lui era in ritardo. Corsi subito a chiamarlo, direttamente a casa. Mi rispose la moglie e mi disse che anche loro avevano sentito. Allora corsi subito in moto e in cinque minuti arrivai lì. Arrivai in via D’Amelio. C’era anche Ayala. La scena davanti ai nostri occhi era terrificante. C’era ancora il fuoco e il fumo. Non si capiva niente, tra lamiere e corpi. Fu lì che a un certo punto ci trovammo al centro della Storia, senza saperlo. Erano già trascorsi tre quarti d’ora dall’esplosione e la portiera posteriore della macchina di Borsellino era spalancata. Lì, tra il sedile anteriore e quello posteriore c’era la sua borsa. A un certo punto un agente in borghese la prese e vedendomi, forse mi credeva un uomo della scorta di Ayala, me la diede in mano. Solo pochi attimi. Mi girai verso Ayala, vedendo un carabiniere in divisa, fu lo stesso Ayala che disse: ‘Ma questa dovrebbe tenerla lei’. Fu così che la consegnammo. Quando fu ritrovata mancava l’agenda rossa di Borsellino. Il resto è storia dei nostri giorni, di un’inchiesta ancora aperta. Né io, né Ayala ricordiamo il volto o il nome di quel militare. Cosa che abbiamo dichiarato anche negli interrogatori a Caltanissetta”.
Stragi e misteri
“Dopo quelle stragi, Capaci e via D’Amelio, ma anche a partire dal fallito attentato alla casa di Falcone all’Addaura, la mia idea – spiega il giornalista del Corriere della Sera – è quella della presenza di una struttura deviata dello Stato, e a una parte dei servizi segreti. Di una mafia usata come braccio armato. L’Italia è un paese che ha vissuto periodi ed episodi simili. Ma anche altri Paesi, penso oggi ai giornalisti uccisi in Cecenia e ai presidenti americani assassinati da non si sa bene ancora oggi da chi e per conto di chi. Oggi parlare col senno del poi sarebbe facile. Eppure in quei giorni, a poca distanza di tempo dalla strage di Capaci una cosa del genere sembrava impossibile. Dopo però no. Dopo ci si rese conto che Palermo era una città in cui si rischiava giorno per giorno. Ricordo che negli ultimi tempi, giorni prima della sua morte, incontrai Borsellino nei corridoi deil palazzo di Giustizia: era strano, inquieto, turbato. Si capiva che qualcosa non andava. Guardava con gli occhi bassi il pavimento. L’ultimo nostro incontro fu un’intervista per il mio giornale. Era il 22 giugno, a un mese dall’assassinio di Falcone. Mi diede appuntamento alle 7.30 del mattina e restammo a parlare fino alle 9 al Palazzo”.
La fiducia di un giudice
“Diceva: ‘Un giorno questa terra sarà bellissima’. È questa l’immagine che ho in mente quando penso a Borsellino – afferma Cavallaro -. Parole che forse nascondono la certezza di chi sapeva che quel giorno non ci sarebbe stato, ma svelavano la fiducia che sarebbe venuto. Ecco lo racconterei così io ai giovani il giudice e l’uomo Borsellino. Al di fuori del cliché sbagliato dell’eroe. Era un uomo che cercava di fare al meglio il proprio lavoro. Io domenica (oggi, ndr) sarò in via D’Amelio a ricordare. Perché credo che la memoria si coltivi anche così, con la presenza”.
(INFORMAZIONI DA LIVE SICILIA)
La polemica di Sciascia
“Ricordo che fu Rocco Chinnici, che già conoscevo, a presentarmi Paolo Borsellino. L’occasione fu l’istituzione del pool antimafia nel quale Chinnici inserì, oltre a Borsellino, anche Giovanni Falcone. Scelta che fu dettata dalla esperienza che i due magistrati avevano acquisito durante il loro lavoro e impegno. Da allora nacque una reciproca stima, certamente da pare mia e credo che fosse anche ricambiata dallo stesso Borsellino. Se devo raccontare un episodio che lo riguarda, mi viene in mente senza dubbio il vespaio di polemiche sorto all’indomani di un articolo di Leonardo Sciascia pubblicato il 10 gennaio 1987 sul Corriere, sul tema dei professionisti dell’antimafia. Un fatto su cui ci confrontammo a lungo. Ritengo che quel pezzo di Sciascia fosse indovinato, ma con un esempio sbagliato. In realtà, nemmeno Borsellino e Falcone ebbero mai degli screzi e delle incomprensioni con Sciascia, perché non potevano pensare che proprio lo scrittore siciliano dal quale avevano attinto e appreso il concetto e il valore dell’antimafia, potesse poi stare dall’altra parte. Borsellino e Sciascia ebbero poi modo di incontrarsi e chiarirsi a Marsala, a pranzo in un ristorante. Incontro a cui però non venne dato risalto. Due anni dopo la morte di Sciascia, nel luglio del ‘91 invitai Borsellino a Recalmuto, paese d’origine di Sciascia e mio, per parlare delle questioni più dibattute di quel momento e ovviamente anche delle polemiche seguite all’articolo in questione. Borsellino si presentò pomeriggio in una piazza gremita, in compagnia di Falcone e assieme spiegarono che con Sciascia non ci fu mai uno screzio, una incomprensione e che si erano chiariti in quell’incontro a Marsala. Quell’episodio rafforzò in me l’idea che Sciascia aveva sbagliato esempi, con dei giudici così grandi, ma la questione rimaneva reale e concreta”.
Falcone sotto tiro
“Ricordo quando Falcone venne ostacolato nella corsa come consigliere istruttore. Incarico affidato invece a Meli. Senza dimenticare poi l’accusa rivolta sempre allo stesso Falcone di tenere i segreti nei cassetti e non valicare la politica. In una trasmissione del Gr1, ‘Radio anch’io’, Borsellino spiegò l’equivoco dei segreti tenuti nei cassetti, dicendo che i magistrati perseguono reati sulla base di prove e non invece l’immoralità e la scorrettezza politica. Perché sono questioni che attengono invece alla società civile”.
Borsellino e i giornalisti
”Con i giornalisti c’era la massima correttezza reciproca – racconta ancora Felice Cavallaro –, era disponibile alla comprensione. Borsellino aveva però riserbo per i passaggi essenziali di una inchiesta, preoccupandosi della fuga di notizie. Alla fine si era creato un rapporto molto schietto e leale tra giudici e cronisti. Tra alcuni nacque una vera e propria amicizia, come tra il giornalista La Licata e il giudice Falcone, tanto che insieme scrissero un libro”.
Via D’Amelio
“Il giorno di via D’Amelio fu terribile – continua Cavallaro con la voce che diventa grave e pensosa -. Ricordo che in quei giorni stavo lavorando a un nuovo libro con il giudice Ayala che si doveva occupare dell’introduzione. Quella domenica pomeriggio doveva venire a casa mia. A un certo punto da casa mia in centro a Palermo, sentii un boato. Andai in terrazza e mi accorsi di una nuvola densa di fumo nero, dalle parti della Fiera del Mediaterraneo. A quel tempo Ayala abitava lì vicino. Lui era in ritardo. Corsi subito a chiamarlo, direttamente a casa. Mi rispose la moglie e mi disse che anche loro avevano sentito. Allora corsi subito in moto e in cinque minuti arrivai lì. Arrivai in via D’Amelio. C’era anche Ayala. La scena davanti ai nostri occhi era terrificante. C’era ancora il fuoco e il fumo. Non si capiva niente, tra lamiere e corpi. Fu lì che a un certo punto ci trovammo al centro della Storia, senza saperlo. Erano già trascorsi tre quarti d’ora dall’esplosione e la portiera posteriore della macchina di Borsellino era spalancata. Lì, tra il sedile anteriore e quello posteriore c’era la sua borsa. A un certo punto un agente in borghese la prese e vedendomi, forse mi credeva un uomo della scorta di Ayala, me la diede in mano. Solo pochi attimi. Mi girai verso Ayala, vedendo un carabiniere in divisa, fu lo stesso Ayala che disse: ‘Ma questa dovrebbe tenerla lei’. Fu così che la consegnammo. Quando fu ritrovata mancava l’agenda rossa di Borsellino. Il resto è storia dei nostri giorni, di un’inchiesta ancora aperta. Né io, né Ayala ricordiamo il volto o il nome di quel militare. Cosa che abbiamo dichiarato anche negli interrogatori a Caltanissetta”.
Stragi e misteri
“Dopo quelle stragi, Capaci e via D’Amelio, ma anche a partire dal fallito attentato alla casa di Falcone all’Addaura, la mia idea – spiega il giornalista del Corriere della Sera – è quella della presenza di una struttura deviata dello Stato, e a una parte dei servizi segreti. Di una mafia usata come braccio armato. L’Italia è un paese che ha vissuto periodi ed episodi simili. Ma anche altri Paesi, penso oggi ai giornalisti uccisi in Cecenia e ai presidenti americani assassinati da non si sa bene ancora oggi da chi e per conto di chi. Oggi parlare col senno del poi sarebbe facile. Eppure in quei giorni, a poca distanza di tempo dalla strage di Capaci una cosa del genere sembrava impossibile. Dopo però no. Dopo ci si rese conto che Palermo era una città in cui si rischiava giorno per giorno. Ricordo che negli ultimi tempi, giorni prima della sua morte, incontrai Borsellino nei corridoi deil palazzo di Giustizia: era strano, inquieto, turbato. Si capiva che qualcosa non andava. Guardava con gli occhi bassi il pavimento. L’ultimo nostro incontro fu un’intervista per il mio giornale. Era il 22 giugno, a un mese dall’assassinio di Falcone. Mi diede appuntamento alle 7.30 del mattina e restammo a parlare fino alle 9 al Palazzo”.
La fiducia di un giudice
“Diceva: ‘Un giorno questa terra sarà bellissima’. È questa l’immagine che ho in mente quando penso a Borsellino – afferma Cavallaro -. Parole che forse nascondono la certezza di chi sapeva che quel giorno non ci sarebbe stato, ma svelavano la fiducia che sarebbe venuto. Ecco lo racconterei così io ai giovani il giudice e l’uomo Borsellino. Al di fuori del cliché sbagliato dell’eroe. Era un uomo che cercava di fare al meglio il proprio lavoro. Io domenica (oggi, ndr) sarò in via D’Amelio a ricordare. Perché credo che la memoria si coltivi anche così, con la presenza”.
(INFORMAZIONI DA LIVE SICILIA)
Promosso da
Autore:
Margherita Guagliumi
Registrata il:
08/08/09
Questa petizione è ospitata presso LivePetitions.com come un servizio pubblico.
FIRMIAMO.IT è solo una piattaforma che ospita petizioni. Non c'è alcuna approvazione di questa petizione, espressa o implicita, da parte di FIRMIAMO.IT o dei nostri sponsor.
Lista parziale di siti/blog che linkano a questa petizione
giovedì 6 agosto 2009
19 luglio 2009 palermo
NON ERAVAMO MOLTI Ma COMUNQUE TUTTI CON LO STESSO PENSIERO LO STESSO IDEALE GLI STESSI INTENTI.
PAOLO E LA SUA SCORTA VIVONO!!!!
Il capogruppo del Pdl alla Camera indagato per corruzione. Le accuse dell'ex moglie del leader del partito in Abruzzo.
Cherchez la femme. Da Mario Chiesa a Cesare Previti, dietro i grandi scandali politico-giudiziari c?è spesso profumo di donna. E anche quella che sta per scoppiare in Abruzzo è una tempesta tutta al femminile, che rischia di costare cara al Popolo della libertà. Protagonista è Maria Maurizio, moglie separata di uno dei leader regionali del partito, Sabatino Aracu. Adesso Aracu vede a rischio la sua travolgente carriera di imprenditore e parlamentare, segretario del gruppo Pdl a Montecitorio, presidente della Federazione italiana hockey e pattinaggio: è finito sotto inchiesta con capi di imputazione che vanno dalla tentata concussione al peculato all'associazione per delinquere.
Al termine di una complicata e dolorosa rottura matrimoniale, l'ex signora Aracu ha scritto un infuocato memoriale al procuratore di Pescara Nicola Trifuoggi. C'è di tutto. Accusa il marito di avere corrotto funzionari pubblici per mettere a segno i suoi affari privati. Lo chiama in causa per avere preteso tangenti dai baroni della sanità privata regionale, a cominciare da quel Vincenzo Angelini titolare della clinica Villa Pini di Chieti che lo scorso anno ha provocato con le sue rivelazioni l'arresto dell'ex governatore Ottaviano Del Turco. Infine, un capitolo sulla compravendita dei posti in Parlamento: la donna parla di somme a cinque zeri intascate per inserire candidati nelle liste forziste al Senato. Come nel caso di Filippo Piccone, eletto nel 2006 a palazzo Madama e diventato primo coordinatore del Pdl in Abruzzo, che secondo la Maurizio avrebbe consegnato ad Aracu 600 mila euro. Una parte dei soldi, secondo quanto la Maurizio ha riferito, sarebbero finiti a Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Popolo della libertà alla Camera: i pm lo hanno iscritto nel registro degli indagati. Da mesi i magistrati lavorano per raccogliere riscontri alle dichiarazioni di Maria Maurizio. Vincenzo Angelini ha già confermato al procuratore Trifuoggi e ai sostituti Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli le accuse della signora, confessando di avere effettivamente consegnato ad Aracu oltre 500 mila euro. Su tutto il resto sono in corso accertamenti. Nel j'accuse della moglie separata ci sono megatangenti e piccole ruberie.
I nuovi condizionatori d'aria fatturati a Forza Italia, destinati alla sede pescarese di piazza Salotto e finiti invece a casa dell'onorevole. O la gestione disinvolta delle società del marito nel settore dei call center. Ci sono persino i rimborsi da quest'ultimo richiesti come presidente della Federazione di hockey: anche il Coni ha svolto un'indagine interna inviando i risultati alla Procura regionale del Lazio della Corte dei conti. Un capitolo riguarda le spese del comitato promotore dei Giochi del Mediterraneo inaugurati a giugno. Ma c'è anche spazio per le operazioni immobiliari in nero e la presunta corruzione di dirigenti per ottenere commesse: "Mio marito predisponeva con il mio aiuto scatole contenenti, oltre alle cravatte, notevoli somme di denaro. Il tutto da consegnare a dirigenti Inps, Enel e Telecom».
L'interesse della Procura si è concentrato soprattutto sulla nuova puntata dello scandalo sanitario che lo scorso anno ha travolto la giunta abruzzese di centrosinistra e coinvolto anche quella precedente di centrodestra, presieduta da Giovanni Pace. Proprio insieme all'assessore alla Sanità di quest'ultimo, il forzista Vito Dominici (finito lo scorso anno agli arresti domiciliari), la Maurizio ha spiegato che Aracu avrebbe richiesto e ottenuto dalle case di cura private somme che di "solito si aggiravano intorno a un milione di euro per ciascuna clinica". Secondo l'ex moglie queste tangenti, al pari di molte altre, Aracu era poi "solito dividerle con l'onorevole Fabrizio Cicchitto di Forza Italia. Quest'ultimo era ed è il padrino politico dell'onorevole Aracu". Ogni cosa, secondo il memoriale, seguiva regole scientifiche. "Mi torna in mente che nel periodo in cui Dominici aveva l'incarico di assessore alla Sanità e mio marito era stato eletto coordinatore regionale di Fi, poco dopo il 2003, ci trovammo io, Dominici e mio marito seduti a un tavolo di una trattoria di Roma. Nell'occasione mio marito annotava i nomi delle case di cura operanti in Abruzzo con a fianco l'indicazione degli importi di denaro. Dominici esaminava i nomi e le cifre, correggendo o confermando. Fra le cliniche ricordo che era annotata la Villa Pini di Chieti per un milione di euro e la Villa Letizia dell'Aquila per circa 200 mila euro". Di alcuni dei pagamenti, lei è stata testimone diretta: "A tanto hanno provveduto, anche in mia presenza, fra gli altri, Angelini e il dottor Conca manager della Asl di Chieti (anche lui arrestato lo scorso anno per lo scandalo sanitario, ndr). Tali somme avevano sicuro significato di tangenti". Il racconto è ricco di dettagli e circostanze specifiche. Il manager Asl Conca si recava spesso nell'abitazione di Aracu in via Sulmona a Pescara per "consegnare a mio marito somme di denaro in contanti che variavano da 100 mila a 200 mila euro". Dazioni che si ripetevano una volta al mese e che sarebbero proseguite per tutto il periodo in cui Aracu è stato coordinatore regionale di Fi. Un rito al quale si sottometteva anche Angelini che presso l'abitazione di via Sulmona consegnava "non solo il denaro, ma anche gioielli e orologi di marca Rolex" che sabbero andati pure "a ciascuna delle mogli di uomini politici con i quali l'Angelini stesso si relazionava": oltre a lei, "anche la signora Dominici e la signora Paolini, consorte quest'ultima del vicepresidente della Regione Abruzzo" (si tratta di Enrico Paolini, non rieletto alle ultime elezioni). Dove venivano acquistati questi preziosi? Dal rivenditore Rolex e presso la gioielleria Cazzaniga di Pescara, dove secondo la Maurizio venivano anche comprati "gli omaggi destinati alle consorti di uomini politici" puntualmente elencati nel memoriale: "On.le Cicchitto, on.le Bondi, on.le Letta, on.le Colucci, questore della Camera dei deputati". Infine, gli altri brani scottanti sui passaggi di quattrini tra Aracu e Cicchitto.
La ex moglie non ha prove, ma afferma di ritenere sulla base di una serie di elementi che suo marito "abbia consegnato all'onorevole Cicchitto, anche per sostenere la propria candidatura, somme certamente non inferiori a 500 mila euro". Dice di avere saputo dallo stesso Aracu, "che quest'ultimo effettuava consegne di denaro nelle mani di Cicchitto per importi annui di almeno 500 mila euro. La cosa avveniva a Roma e la dazione consisteva in somme in contanti". Con l'onorevole Cicchitto, aggiunge la Maurizio, "abbiamo trascorso una vacanza estiva in Sardegna. Il deputato di Fi, anche in mia presenza, assicurava a mio marito che gli avrebbe conservato l'incarico di coordinatore regionale del partito in considerazione delle attenzioni riservategli". Attenzioni che avrebbero trovato puntuale conferma nella vicenda riguardante la candidatura di Filippo Piccone. "Ricordo che mio marito", scrive la moglie di Aracu, "si fece dare da costui l'importo di 600 mila euro per ottenere la candidatura al Senato. Di tale somma 150 mila euro circa vennero consegnati all'onorevole Cicchitto. Il tutto mi è stato riferito da mio marito. Piccone, inoltre, che opera nel campo della realizzazione di infissi, non si è mai fatto pagare da mio marito per la vendita dei predetti". Finestre o porte in omaggio per avere ingresso nel portone del Palazzo: davvero riconoscente.
FONTE: http://espresso.repubblica
martedì 4 agosto 2009
Via D'Amelio dopo la strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scortadal nostro inviato ATTILIO BOLZONICALTANISSETTA - Il processo per l'uccisione di Paolo Borsellino è oramai da rifare. Il primo pezzo sta già andando verso la revisione: usciranno di scena i falsi attentatori, entreranno nel nuovo dibattimento gli ultimi sospettati, resteranno sospesi sui loro ergastoli i mandanti mafiosi e resteranno coperti nel segreto ancora per un po' di tempo quei "mandanti altri" - gli occulti - che avrebbero deciso la strage insieme ai boss. Si ricomincia daccapo per tutti i massacri siciliani dell'estate 1992.I pubblici ministeri di Caltanissetta studiano in questi giorni le carte per inviare alla Corte di Appello di Catania, competente per territorio, una tranche del primo processo Borsellino. E intanto hanno spedito una raffica di richieste ai capi dei servizi segreti, il vecchio Sisde e il vecchio Sismi, per "l'identificazione" di almeno una dozzina di agenti segreti coinvolti in "operazioni sporche" in Sicilia. Sono investigazioni ad incastro. Ogni giorno, a Caltanissetta, sfilano testimoni eccellenti che ricostruiscono vicende di 17 anni fa. Come due magistrati che, a metà mese, si sono presentati al procuratore capo Sergio Lari e al suo vice Domenico Gozzo. Due giovani colleghi di Paolo Borsellino a Marsala, un uomo e una donna. Hanno messo a verbale: "Un giorno di quell'estate siamo andati a trovare Paolo nel suo ufficio a Palermo, era stravolto. Si è alzato dalla sedia, si è disteso sul divano, si è coperto il volto con le mani ed è scoppiato a piangere. Era distrutto e ripeteva: "Un amico mi ha tradito, un amico mi ha tradito..."".I pubblici ministeri di Caltanissetta ora stanno provando a scoprire il nome di quell'"amico" e provando a capire se il "tradimento" sia legato alla trattativa fra Mafia e Stato forse proprio all'origine della morte di Borsellino. S'interrogano testimoni e s'indagano nuovi protagonisti dei misteri e dei crimini siciliani. Mafiosi e funzionari di polizia che al tempo seguirono l'inchiesta, uomini dei "servizi", picciotti che trasportarono auto e esplosivi. Cambia anche l'"epicentro" mafioso delle indagini. Si sposta dalla "famiglia" della Guadagna (quella del pentito fasullo, Vincenzo Scarantino, che si autoaccusò della strage) a quella di Brancaccio (quella di Gaspare Spatuzza, il pentito che ha smentito Scarantino ammettendo di essere stato lui a portare l'autobomba in via D'Amelio), cambiano gli scenari mafiosi e non solo quelli.La caccia è anche agli altri, agli "esterni" a Cosa Nostra, quelli che insieme ai boss avrebbero "ideato e organizzato" la strage. Si cerca ancora il misterioso agente segreto con "la faccia da mostro", l'uomo che sarebbe stato visto sia "nei pressi dell'Addaura" - quando mafiosi e "servizi" volevano far saltare in aria Falcone nel giugno dell'89 - e l'uomo - secondo le rivelazioni di Massimo Ciancimino - che complottava con suo padre, don Vito. Nelle ultime ore si è diffusa la voce che "faccia da mostro" era stato identificato. Falso. Poi, ieri, un foglio locale ha riportato la notizia che l'agente con quel volto deformato è stato avvistato anche in via D'Amelio il giorno della strage. Falso.Nella convulsa nuova fase d'indagine sulle stragi siciliane si rincorrono notizie vere e taroccate, come se qualcuno avesse ricominciato ancora con manovre e depistaggi. In questo clima i pm di Caltanissetta si preparano a trasmettere gli atti del primo processo Borsellino alla procura generale, che poi li invierà alla Corte di Appello di Catania per la revisione.In tutto sono 47 gli imputati condannati nei tre processi contro sicari e mandanti della strage. La revisione coinvolgerà sicuramente i protagonisti del primo dibattimento. E cioè il falso pentito Vincenzo Scarantino e il suo compare Salvatore Candura, poi Salvatore Profeta che era indicato da Scarantino come il "committente" del furto della Fiat 126. E infine Giuseppe Orofino, il proprietario del garage dove fu "preparata" l'autobomba. Molti degli imputati del processo bis e ter non saranno trascinati in un nuovo processo. Soprattutto quelli della Cupola, già condannati come mandanti. Al contrario, alcuni dei loro vice potrebbero vedersi annullato l'ergastolo. Ma c'è già un primo ostacolo "tecnico" per la revisione: a Catania, dove dovrebbe rifarsi il processo, procuratore generale è oggi Giovanni Tinebra che era procuratore capo a Caltanissetta quando si avviarono le indagini sulla strage Borsellino. C'è il rischio serio che il processo venga trasferito in un'altra Corte di Appello ancora: quella di Messina. In attesa di nuovi riscontri su via D'Amelio i magistrati raccolgono informazioni anche su Capaci. Il pentito Gaspare Spatuzza ha raccontato che "una parte dell'esplosivo per uccidere Falcone viene dal mare". L'hanno pescato nel Tirreno, polveri di bombe della seconda guerra.Sarà classificato top secret il famigerato "papello" che dovrebbe consegnare Massimo Ciancimino. Oggi i magistrati lo aspettano a Palermo. Chissà se il figlio prediletto di don Vito questa volta porterà il suo "tesoro" di carte.(30 luglio 2009)fonte: http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/cronaca/mafia-9/mafia-9/mafia-9.html
ARTICOLO DELL'INCONTRO CON VALENTINO SEPE
“Il cammino di Henry”, opera prima di Domenico Del Coco Martedì 23 Giugno 2009 18:19 La speranza di un mondo capace di giustizia nell’esordio alla scrittura di un giovane cesanesePresentato al Café Bem Viver di Corsico il primo romanzo di Domenico Del Coco, ventotto anni, laurea all’Università degli Studi di Milano e noto a Cesano per la sua attività come insegnante di italiano per stranieri. Una feconda esterofilia la sua, che lo hanno portato a calarsi nei panni del suo alter ego “Henry”, per osservare dall’esterno l’Italia e gli italiani, con i loro valori ma anche con i loro tragici difetti. Davanti a una platea composta per lo più da ragazzi, nota positiva, e accompagnato dall’amica giornalista Valentina Bufano, con un pizzico di genuina emozione, l’autore Domenico/Henry ha spiegato i perché di questo di questo libro. Il romanzo parla di uno scontro tra culture, quella del giovane protagonista, inglese, amante della letteratura gotica e deluso dalla frivolezza degli ambienti mondani, che a metà dell’ottocento entra in contatto col tessuto umano e sociale dell’Italia del Sud, della Sicilia, osservando da vicino la nascita della mafia, e di una tragica indifferenza verso il male. Con uno stile asciutto e rapido, l’autore manipola il contesto storico del romanzo per parlarci dei giorni nostri, della violenza del contemporaneo, dei fatti di sangue criminale che invadono la nostra quotidianità senza suscitare la giusta indignazione. Una sorta di romanzo di formazione che è anche un pamphlet contro l’odio e il razzismo, la paura del diverso e il misero attaccamento al proprio mondo di chi considera la mafia una sciagura dalla quale è impossibile redimersi.“Spesso si è costretti in cose in cui non si crede o non si vuole credere. Spesso siamo ciechi con noi stessi pensando che il mondo non è come lo vorremmo, con le sue guerre, i suoi delitti, le ingiustizie. Spesso ci ritroviamo a dover insegnare cose in cui si crede ma poi si è i primi a non mettere in pratica. Spesso vediamo che gli altri in stato apparente o sono felici o vivono una vita senza valori. Spesso ci si ritrova a riflettere su ciò che veramente si è voluto vedere e non su quello che gli altri ci hanno fatto vedere. E così un’esperienza dietro l’altra ci formano in quel lungo corso della nostra vita con i nostri sbagli, i nostri errori, i nostri pregiudizi più che mai insensati. E solo alla fine si capisce che l’eroe non è quello che fa la guerra in un libro ma è colui che combatte per un valore”.
articolo di Valentina Bufano su Domenico del Coco Giovane scrittore
L'autore si è documentato anche intervistando l'ex Sindaco di Buccinasco, Carbonera“Il Cammino di Henry” per aiutare LiberaCORSICO - Domenico Del Coco ha scritto “Il Cammino di Hanry” principalmente per parlare di criminalità organizzata, nella fattispecie il fattaccio accade in Sicilia e si inserisce in un contesto di tranquillità che rende l'omicidio ancora più violento. La presentazione del libro, presso il Bem Viver ha visto la partecipazione di quasi 50 persone (Alfredo Simone Negri ha inviato un messaggio di scuse e complimenti, ma erano presenti Fabio Bottero, Laura Carbonera e Rosa Palone) per la maggior parte giovani coetanei di Del Coco, tutti capaci di riflettere su certe scottanti tematiche. L'emozionatissimo autore ha detto di ritenere l'Italia e la Sicilia molto belle paesaggisticamente e culturalmente interessanti,ma non si può fingere che il nostro Paese non sia “abbruttito” dal fenomeno mafioso che sporca la nostra immagine a livello mondiale. “Il Cammino di Harry” poteva essere una semplice storia d'amore. Invece a pagina 100 Harry e Adelaida sono in Italia, passeggiano per Catania. Lo sparo è repentino. Adelaida se la cava con uno svenimento. Harry è sotto shock e il suo disgusto per l'Italia ha ora una solida motivazione. I riferimenti alla criminalità organizzata sono sparsi per il libro come delle macchie su una tovaglia candida. Lo stile è senza fronzoli; i concetti vengono esplicitati come se fossero le immagini di un film. La storia si vede. E nonostante alcuni quadretti siano semplici semplici, pagine senza avvenimenti eclatanti (così che l'episodio dello sparo “rimbomba” veramente) non c'è un attimo di sensazione che puoi definire “noia”. Va in scena la realtà. I personaggi sono realistici, ciò che fanno è realistico, l'intrusione della Mafia nella vita di due turisti stranieri è più realistico che mai. Del Coco non osserva l'esteriorità (tanto è vero che la descrizione particolareggiata dei personaggi non c'è). I personaggi agiscono in base a quello che hanno pensato. Questo significa conoscere l'animo umano e dare importanza a ciò che il prossimo pensa, e di conseguenza fa. Le azioni sono conseguenza dei pensieri. Poca la forma molta la sostanza in questo libro, che assume la forma della sostanza. Ogni anno sono scritti moltissimi libri. Questo ha qualcosa di particolare. Domenico Del Coco sta per partire per la Sicilia dove promuoverà la sua opera prima. Parte del ricavato delle vendite sarò devoluto all'Associazione “Libera”. Il volume (volutamente di piccole dimensioni: «Volevo che il lettore si ricordasse tutta la storia ») si può comprare anche su Internet.Valentina BufanoA VOI I COMMENTI. CIAO DOME :-D
In questa nota: Michelangelo Balistreri, Orio Scaduto, Vincenzo Ferrera, Alfredo Simone Negri, Maria Ficara, Maria Stella, Francesca Casagrande, Francesca Robbiati, Davide Dave Depicolzuane, Cecilia Piarulli, Dario Carazzina, Dario Esposito, Gabriele Toralbo, Tony Farana (note), Graziella Vardi, Agostino Lo Coco, Rosa Palone, Alessio Negri, Libera Milano (note), Laura Ferrante, Simone Catto, Rosa Varlese, Ammazzateci Tutti (note), Laura Russo, Laura Carbonera, Matteo Carbonera, Francesco Vassallo, Ettore Gentile, Marta Anna Sestito
In questa nota: Michelangelo Balistreri, Orio Scaduto, Vincenzo Ferrera, Alfredo Simone Negri, Maria Ficara, Maria Stella, Francesca Casagrande, Francesca Robbiati, Davide Dave Depicolzuane, Cecilia Piarulli, Dario Carazzina, Dario Esposito, Gabriele Toralbo, Tony Farana (note), Graziella Vardi, Agostino Lo Coco, Rosa Palone, Alessio Negri, Libera Milano (note), Laura Ferrante, Simone Catto, Rosa Varlese, Ammazzateci Tutti (note), Laura Russo, Laura Carbonera, Matteo Carbonera, Francesco Vassallo, Ettore Gentile, Marta Anna Sestito
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